... dato che li trovo particolarmente vuoti di significato in questo periodo.
Però un pensiero di fine d'anno lo voglio lasciare lo stesso: una compilation che si è praticamente creata da sola negli ultimi giorni e che voglio dedicare a Patrizia che ci ha ospitato e mettere a portata di orecchio di chiunque gradisca.
Io non credo in dio. Tuttavia credo che la natura e le condizioni genomiche abbiano creato persone che vanno al di là dell'umana comprensione. O meglio, che vanno al di là della nostra consapevolezza. Una di queste persone è sicuramente Bob. Bob è qualcuno da recuperare. E' qualcuno di cui ci siamo dimenticati o che ci dimentichiamo troppo spesso. Assorti come siamo dalla quotidiana routine. Allora, se mi voglio riconciliare con me stesso, ritorno da Bob. O meglio, ritorno alla sua essenza, alla sua bellezza. Ritorno alla sua voce, a quello che scriveva e all'idea che ci lasciava. Ritorno alla purezza del gesto. Alla semplicità del tocco. Ecco. Questo è Bob. E questo è quello che voglio che esista per sempre. E che ognuno di noi possa vibrare trasportato dall sua personalità e dalla sua essenza.
E poi...
E non dimentichiamoci di questo... uno dei miei pezzi preferit in assoluto. Ancora mi fa urlare in macchina mentre guido. Libertà fittizia o senso di appartenenza? Per me è appartenenza totale...
Anche se questa è la versione più bella che esista...
Smontiamo subito la definizione di musica commerciale.
La musica, quella che trovate disponibile alla vendita qualsiasi sia il supporto o il formato, è musica commerciale. La musica non commerciale è quella autoprodotta e distribuita liberamente nel 99% dei casi per farsi conoscere e poter trasformare lo stesso prodotto in musica commerciale.
When I was younger so much younger than today c'era questa distinzione fasulla tra musica commerciale cattiva (ad esempio la disco) e musica buona "da ascoltare" (ad esempio il prog), distinzione che oggi pare comunque essere fortunatamente svanita e, per questo, penso si debba ringraziare la new-wave per avere raccolto nella sua vaga definizione praticamente di tutto.
Quello che non è sparito, purtroppo, è il vizio di commercializzare qualsiasi scaracchio musicale, fenomeno che ha le sue radici nel passaggio di formato da vinile a ottico.
Ricordate le varie siglette AAD, ADD, DDD per indicare registrazione, processo e prodotto analogico/digitale? Quanti album, usciti originariamente in vinile furono riproposti con un nuovo remix per cercare una migliore qualità? In qualche caso addirittura si aggiunsero strumenti e voci ottenendo quasi un prodotto nuovo (ad esempio "Tales of Mystery and Imagination - Edgar Allan Poe" degli Alan Parsons Project a cui si aggiunsero nuovi inserti di chitarra di Ian Bainson e la voce narrante di Orson Welles) provocando scompensi mentali a quanti poveri pirla avevano nella loro memoria il suono originale.
Poi venne di peggio: i greatest hits con le tracce inedite, i greatest hits con le tracce postume (solitamente scarti che, forse, erano stati scartati per qualche motivo ben preciso), le riedizioni con le bonus track, le riedizioni con le bonus track e il bonus disc remixato e, infine, si arriva al delirio delle edizioni attuali.
L'ultimo album di Bjork, "Biophilia", è un caso particolare in quanto nasce come progetto multimediale per iPhone, un grappolo di app su cui l'ascoltatore può intervenire per manipolare la musica. Idea molto interessante pur se limitata a quanti hanno un iPhone. E gli altri?
Gli altri, come me, si prendono il cd (sì, io ancora compro i cd fisici) e qua viene il bello. Il cd lo trovi, secondo il mercato a cui ti rivolgi, come "modello base" (10 tracce) o con la bonus track o con quattro bonus track e un secondo cd live e probabilmente altre versioni ancora.
Inciso: l'ultimo di Bjork mi ha riconciliato con lei dopo le esperienze di "Medulla", "Drawing Restraint 9" e "Volta" e nonostante abbia preso il "modello base".
Per quanto riguarda il versante delle riedizioni, ora tocca alle discografie integrali: ai remix e alle bonus track si aggiungono completi repackaging con gadgets vari. Monumenti, più che prodotti musicali, che hanno il pregio di vendere ma, forse, il difetto di allontanare il consumatore dal momento più intimo dell'ascolto, quello che avviene ad occhi chiusi e mente aperta, quello che non necessita di alcun effetto speciale, bonus track, remix, gadget e repackaging.
Temo di essere all'antica ma, per me, di "The Dark Side Of The Moon" ce n'è solo uno e suona come suonava il vinile consumato che comprai nel lontano 1973. Ogni tentativo di renderlo migliore non funziona neanche impacchettandolo in un prisma (non ci hanno ancora pensato?).
Conclusioni? Nessuna, si tratta solo di considerazioni personali e, personalmente, penso che d'ora in poi mi limiterò ad acquistare solo i "modelli base" degli album scartando le versioni puramente "commerciali" del prodotto per non perdere il contatto con il contenuto, la musica.
E' delle ultime ore la notizia che la SIAE sia andata a batter cassa presso i siti web che si occupano (anche) di cinema per riscuotere quanto ritiene che a lei spetti per la pubblicazione dei trailer dei film e booktrailer in quanto conterrebbero una colonna sonora protetta da diritto di autore.
A fronte di richieste di spiegazioni, una risposta viene fornita da Stefania Ercolani, direttore dell'Ufficio Multimedialità della SIAE nel seguente articolo di Punto Informatico: "Trailer, le risposte della SIAE".
Interessante leggere la risposta alla domanda "Oltre ai trailer a quali contenuti si estende?".
Riporto pari pari: "La licenza Video on Demand riguarda tutti i contenuti video che contengono musica. Per i trailer, come soprattutto per i film interi, naturalmente il sito deve essere autorizzato dai produttori cinematografici o audiovisivi singolarmente considerati e quindi ottenere la licenza della SIAE che copre l'intero repertorio musicale. Per i film e la fiction deve essere inoltre corrisposto l'equo compenso dovuto agli autori dell'opera audiovisiva, regista, sceneggiatore, autore del soggetto e nel caso di film stranieri all'autore dell'adattamento".
Il primo periodo mi pare esplicativo: tutto ciò che contiene musica (e che supera una manciata di secondi) può essere oggetto di richiesta (retroattiva) di quattrini da parte di SIAE. Quindi, a maggior ragione, anche i video musicali o i video amatoriali in cui, ad esempio, si canta tutti insieme "La canzone del sole" (e spero che il solo citarne il titolo non ci comporti un esborso).
Non è ancora chiaro se questa imposizione vada ad affliggere unicamente le testate registrate o qualsiasi sito -anche amatoriale e privo di inserzioni pubblicitarie- o, eccoci a noi, qualsiasi blog.
E' notizia dell'ultima ora che YouTube garantisca che il materiale che mette a disposizione, anche embedded in un sito terzo, abbia già soddisfatto gli impegni con SIAE e sia pubblicabile senza nulla dovere. Versione di cui si attende una conferma dalla controparte.
E se il materiale sta su un qualsiasi altro sito?
Nell'attesa che si faccia chiarezza in questa tipica vicenda di latrocinio tutto italiano, vi proponiamo un esempio di video che riteniamo di poter pubblicare senza che nulla ci sia richiesto.
"Wallflower" è sempre stata una delle mie canzoni preferite di Peter Gabriel. Sia perl'intensità del testo che per la splendida costruzione della frase armonica. All'interno di PG IV sembrava non c'entrare nulla. Il resto del disco era basato sulle percussioni esull'uso di un'elettronica primordiale ma incisiva. Poi come ultimo pezzo arrivava "Wallflower".. Lirico, acustico. Sembrava rimandare ad un Gabriel futuro che abbiamo, in effetti, risentito in Up.
Oggi ho ascoltato per la prima volta "New Blood" e devo dire che sono rimasto stranito. Al primo ascolto sembra quasi non avesse senso rifare le canzoni arrangiandole con orchestra. Pezzi come "Intruder" - "The rithm of the heat" ecc ecc, pare non riescano a stare in piedi. Insomma, il solito esperimento di chi non ha idee e si rifugia nelle proprie cover riarrangiandole... lo abbiamo visto fare milioni di volte.
Poi è arrivata "Wallfllower".
In questo video solo piano e voce... Ne esiste un'altro anche con orchestra ma sisente male e non si coglie l'emozione.
Dicevo che poi è arrivata "Wallflower" e, così come PG IV, è cambiato l'ascolto. Ho riascoltato il disco 5 o 6 volte. Di seguito. E ho la presunzione di aver capito cosa intende il nostro per "New Blood". Non sono autocover. Non sono rifacimenti. E' il tentativo di estrapolare l'anima della propria musica arrivando all'essenza. Come? La scelta orchestrale è, a mio avviso, un po' ruffiana. Sappiamo tutti come il suono di violini, viole, contrabbassi, corni ecc possano creare emozione e pathos. Quindi, secondo me, Pg ha reinterpretato vocalmente e, probabilmente, riscoperto la propria musica. Quello che aveva creato. Si spiega così anche il motivo della scelta dei brani: "San Jacinto", "Downside up", "Intruder", "Digging in the dirt", "Don't give up" (minimalissima).
A voi i commenti, se volete. Di sicuro in questi giorni lo riascolterò fino ad arrivare ad una sintesi migliore. Per ora lascio aperta la discussione.
There are places I'll remember all my life though some have changed.
Some forever not for better some have gone and some remain.
Cortenova in Valsassina: ci ho fatto ogni estate dagli zero ai ventiquattro anni ed è uno dei luoghi che tengo nelle memorie della mia infanzia e adolescenza.
Già da almeno un paio d'anni io e Luca (lo scompensato Bretella, per intenderci) progettavamo di tornarci per un tour della memoria. Io mancavo da dieci anni, Luca almeno da quindici e io e lui insieme forse da vent'anni.
Per arrivarci, entrambi, senza nemmeno accordarci, abbiamo fatto la strada del laghetto delle trote di Cortabbio. Ci siamo accostati da una strada che usciva diretta dai ricordi ed arriva in piazza a Prato S.Pietro, passando dall'inevitabile strettoia tra i muri in pietra delle vecchie case.
Proseguendo verso la piazza centrale di Cortenova si passa davanti al cimitero e si trova una nuova (almeno per me) rotonda. Ancora un poco e si è in piazza, dove soggiornavano d'estate gli altri zii. E' ancora tutto lì: la chiesa, il comune, l'oratorio, l'albergo Gnocchi (dove poi abbiamo pranzato) e anche il monumento a Stoppani. Tutto come ricordavamo.
Ma, nel frattempo, qualcosa era successo: dall'altra parte della valle, proprio di fronte, due frane hanno cambiato il paesaggio. Ne eravamo al corrente ma vederlo di persona fa tutto un altro effetto.
Uno stop dove stava Luca, un altro dove stavo io, un rapido giro del paese e un altro stop per un bianchino dal Tabaccaio (dove abbiamo trovato ancora i due coniugi che, a nostra memoria, l'hanno sempre gestito) ci hanno mostrato che tutto stava ancora lì, quasi immutato, a parte la fontana con la testa di leone spostata su un piccolo nuovo spiazzo sulla curva che scende verso la strada per Parlasco.
Ci stavamo godendo questo effetto-ritorno che ci aspettavamo ma del quale non eravamo sicuri che avremmo potuto beneficiare.
All these places have their moments with lovers and friends I still can recall.
Some are dead and some are living, in my life I've loved them all.
A Cortenova ci abita Marika, un'amica d'infanzia, e per "amica d'infanzia" intendo che la conosco da quando io avevo un anno e lei zero (vabbè, diciamo fin dal momento in cui da esseri minuscoli abbiamo cominciato a interagire col mondo esterno).
Ci sentiamo ogni tanto (lei dice solo per darmi brutte notizie, tipo quella della frana) e finché sono andato lassù anche solo per delle toccate e fughe veloci, siamo sempre riusciti almeno a bere un caffé e fumare una sigaretta insieme.
Questa volta le sono piombato in casa con moglie, figlio e cugino (i primi due non li vedeva da 10 anni, l'ultimo da almeno 100) e, dopo pranzo, ci ha accompagnato per il giro "ragionato" del paese.
Abbiamo incrociato il sentiero della Quarantina, una sorgente, quello che portava nei boschi e che ora è tagliato dalla "tangenziale" dove si affacciano un sacco di nuove case e siamo ridiscesi in paese dal vicoletto che porta alla Colonia e alla "funtana di Vacc", tappa immancabile per una sorsata d'acqua (ai tempi era il brindisi della buonanotte quando si scioglieva la compagnia).
Siamo poi risaliti lungo la tangenziale fino al cimitero, altra tappa obbligatoria perché stanno lì alcuni amici d'infanzia tra cui i due fratelli di Marika e Giovanni, indimenticato compagno estivo che riuscì a "scappare" dal paese per andare a fare il ricercatore in America (l'America era sempre stata la sua meta fin da quando ascoltava la Nitty Gritty Dirt Band).
Usciti da lì e ripreso fiato dalle memorie pesanti, ci siamo avviati alla Roccolina, la colonia estiva dove facevano la festa degli alpini e dove, quando non c'era la festa e muniti di mangianastri, andavamo a ballare di notte. Poi ci siamo inerpicati sul prato della colonia dove andavamo a vedere le stelle cadenti e siamo arrivati fino al sentiero che porta nella valle dei Mulini (dove andavamo a cercare i fossili).
Tornati in paese, con la macchina ci siamo spostati dall'altra parte della valle dove sorge la spettrale villa De Vecchi, edificio liberty in rovina, miracolosamente risparmiato dalle due frane che sono scese ai lati. Ora ha un'atmosfera tipo casa degli Usher (si vocifera di fantasmi e sette esoteriche) e non abbiamo resistito alla tentazione di entrarci dentro (non c'è però praticamente nulla da vedere).
Infine ultimo caffè e ultime chiacchiere prima di salutare Marika e tornare verso casa ma abbiamo deciso che non faremo passare ancora così tanto tempo prima di ritornare là perché abbiamo ancora qualche vecchio posto da rivedere: il castagneto, la pineta, Tartavallino e Tartavalle e tanti altri posti intorno (Muggio, Pian delle Betulle, Cainallo).
Avril Lavigne ha pubblicato quest'anno il suo ultimo album "Goodbye Lullaby", un album decisamente lavignesco che si è rivelato piuttosto piacevole per viaggiare da Cagliari a Villasimius e/o viceversa e per girellare alla ricerca di spiagge sarde.
Tra i pezzi dell'album, sorpresa!, ecco quello che si intitola come il post:
Mi raffiguro il vostro disappunto per questa cosa che vi sto propinando (Damn! Damn! Damn!) però, se siete riusciti a sopravvivere al lacrimevole video (ma lei è carina e, secondo me, ha pure una voce decente), vi meritate questo come ricompensa:
Arrivato in fondo alla pregevole cover, sento comunque che nemmeno Radiohead & Sparklehorse sono riusciti a placare la vostra irresistibile sete di versione originale:
Ok, lo ammetto, pure io mi sono ritrovato a risentirmi questo almeno un paio di volte mentre stavo scrivendo questo post scompensato. ;)
Il 6 luglio l'AgCom voterà una delibera con cui si arrogherà il potere di oscurare siti internet stranieri e di rimuovere contenuti da quelli italiani, in modo arbitrario e senza il vaglio del giudice.
Siccome, con ogni evidenza, si tratta di una misura degna dei peggiori regimi, sarebbe il caso di rimboccarsi le maniche per evitare che venga approvata.
Cosa puoi fare
se sei un blogger scrivi un post, usando il logo che vedi qua sopra e riportando tutti i link, e diffondilo più che puoi tra quelli che conosci;
vai alla pagina di Agorà Digitale in cui sono raccolti tutti i link, le iniziative e le proposte dei cittadini;
partecipa e invita tutti i tuoi amici a "La notte della rete": il 5 luglio, 4 ore no-stop in cui si alterneranno cittadini e associazioni in difesa del web, politici, giornalisti, cantanti, esperti.
E' ora di darsi da fare altrimenti tra poco rischiamo di essere cancellati.
Si ringrazia Metilparaben per essere stato preso a modello per questo post. :)
A tredici anni non avevo ancora acquisito, musicalmente parlando, le mie idiosincrasie adolescenziali: insomma non ero ancora un accanito di rock inglese e ascoltavo quello che passavano le radio.
La fissa della fantascienza, però, era già cominciata e per quel motivo un brano mi piacque in modo particolare: mi riferisco a "Help me" dei Dik Dik.
Ora, i Dik Dik erano più che altro noti per "L'isola di Wight" e "Senza luce", tanto per fare due titoli a caso, rivisitazioni italiane di due pezzi stranieri ("Wight is Wight" di Michel Delpech il primo brano e "A Whiter Shade of Pale" dei Procol Harum il secondo).
In pratica erano dei coverizzatori ma il brano "spaziale" era originale, scritto appositamente per loro da Shel Shapiro e Andrea Lo Vecchio.
I Dik Dik vennero bruscamente ridimensionati quando poi cominciai a conoscere il rock britannico e quasi mi incazzai quando ascoltai la prima volta "Space Oddity" di David Bowie, qua nel filmato del '69 tratto dal film "Love You Till Tuesday".
Di fatto i Dik Dik avevano fatto praticamente una cover "implicita", tanto per non smentirsi.
Ora, non per farmi riprendere la mano dalle mie idiosincrasie giovanili, però mi pare che la differenza qualitativa tra i due brani sia indiscutibile e, inoltre, mentre il brano italiano indugia tipicamente sul sentimento ("Non hai mai conosciuto tuo padre, era un uomo importante, tesoro. E' quell'uomo vestito d'argento, è la voce che senti ogni tanto"), il brano di Bowie punta dritto al sense of wonder proprio della vecchia fantascienza ("Here am I floating round my tin can, far above the Moon. Planet Earth is blue and there's nothing I can do").
Bowie batte Dik Dik uno a zero.
Il mese scorso ho avuto occasione di assistere a un concerto dei Dik Dik a Desio: naturalmente hanno riproposto tutto il loro repertorio classico e noi, vecchi rimbecilliti, lì a canticchiare tutto quanto insieme a loro.
Non hanno però fatto "Help me" e, devo confessarlo, questa cosa mi ha fatto rimanere un po' male perché, nella mia testa scompensata, pensare ai Dik Dik significa soprattutto pensare a quel pezzo.
Peccato.
E mi sa che, col crescere dell'età, sto pure diventando sentimentale.
1976. Un amico tira fuori un vinile: mummia grigia in un riquadro in bianco e nero su sfondo bianco. In alto la scritta "The Alan Parsons Project", in basso "Tales of Mistery and Imagination - Edgar Allan Poe" (nell'immagine una versione un po' ingiallita dal tempo).
Per un quindicenne appassionato di letteratura fantastica e Pink Floyd l'abbinata è micidiale: "Quell'Alan Parsons?" (e quanti altri ne conoscevo di nome Alan Parsons?). "Proprio lui. E l'album sta a metà tra Pink Floyd e Beatles". E lo ascoltammo tutto d'un fiato in religioso silenzio.
Nel modo di intendere di allora "Beatles" stava ad indicare in modo generico la forma canzone ma i Pink Floyd si sentivano proprio. Beh, per forza, era QUELL'Alan Parsons, quello della colazione psichedelica, il "quinto Flyod"!.
In realtà quell'album è molto di più: un concept album fatto di rock, orchestra e segnali elettronici. Un vero e proprio album progressive, quindi, che usciva giusto nel momento in cui il prog stava decisamente declinando e dietro l'angolo stavano per arrivare il punk e la new wave.
L'ho riascoltato in questi giorni e l'album continua a mantenere la sua presa su di me, perfino nell'edizione riveduta e corretta del 1987 con le letture dei passi di Poe da parte di Orson Wells e gli assoli elettrici aggiunti da Ian Bairnson (ma, confesso, che la versione originale mi è rimasta dentro).
Ci ho ritrovato, quasi freschi come al primo ascolto, gli arrangiamenti orchestrali di Andrew Powell, i testi di Eric Woolfson che rendono degnamente i racconti di Poe (quasi quanto la versione a fumetti di Zio Tibia che mi aveva terrorizzato qualche anno prima e che, anni dopo, ho riletto mettendo come sottofondo musicale proprio quest'album), la maestria di Alan Parsons a rendere omogeneo il tutto e la voce di John Miles, quello di "Music" (Music was my first love and it will be my last: music of the future and music of the past", praticamente un manifesto per noi giovani nel 1976 - e forse ancora ora-).
Preso dalla voglia di pubblicare un paio di pezzi su facebook, vado a scoprire su YouTube il canale di vzqk50 dove David ha creato dei video per ogni pezzo dell'album.
E merita davvero tanto gustarseli tutti (grazie, David!) che ho pensato di proporveli nell'ordine corretto:
Ah! Il Project di Parsons/Powell/Woolfson è poi proseguito per altri 9 album (fino al 1987), mantenendo quasi sempre la forma concept propria del prog ma diretto di fatto verso un rock/pop molto curato e molto piacevole, tra alti e bassi come capita a tutti, ma mai più a questo livello.
25 marzo 2011: gitarella scompensata (due su tre, il terzo a casa a dare dei "bastardi" ai due gitanti) alla volta di Botticino Sera, vicino a Brescia, per un paio di motivi.
Il primo era che al Tadini, una chiesetta sconsacrata adattata a teatro, si sarebbe esibita Betty Vittori con due terzi di Secret Flame (Vladimiro Leoni e Simone Boffa; del terzo, il bassista Giulio Corini , ho sentito la mancanza ma ne accennerò dopo).
Il secondo era di riuscire ad incontrare dal vivo l'amica Cristina.
Per chi non conoscesse Betty Vittori (come non la conosceva il sottoscritto non avendo molta affinità con la musica nostrana) consiglierei di dare un'occhiata alla wiki e alla sua pagina personale e meravigliarsi del fatto che non la si conosca, considerata la qualità delle collaborazioni.
Tornando alla gita, riusciamo ad arrivare in loco un'abbondante oretta prima: giusto il tempo di incontrarsi con Cristina, smangiucchiare al volo quattro panini in tre in mezzo alla strada (facendosi anche dire "Buon appetito!" da una gentile signora in transito), bere un bianchino con Cristina (io), bere un bianchino con Roberto (sempre io, tanto alla guida c'era lui), scattarsi un paio di foto davanti all'insegna "Osteria da Silvio", fumare un paio di sigarette e poi un altro paio.
Finalmente arriva l'ora del concerto: prendiamo posizione in terza fila e ci mettiamo ad ascoltare (con Cristina che teme una crisi di rigetto da parte del sottoscritto e l'altro che quella sera versava in uno stato tendente leggermente al catatonico).
La formazione, come già detto, è a tre: due chitarre e una voce. Probabilmente l'acustica non ha reso abbastanza giustizia alla base musicale (o forse, alle mie orecchie, mancava un sano basso) fatto sta che quella che risalta alla fine è proprio la voce della Vettori.
Un esempio:
C'è però da dire che l'esempio non rende giustizia: la Volpina rossa, nonostante sia raffreddata, si fa sentire e rende molto di più. Coinvolge. Quasi avrebbe potuto cantare senza accompagnamento tanto era al centro di tutto.
Alla fine l'amica Cristina si tranquillizza, avendo visto che non ho dato evidenti segni di sofferenza (l'altro scompensato continuava ad essere catatonico ma ho sparso la voce che sia così da anni e che a turno gli amici lo portano a prendere una boccata d'aria e di musica).
Alla gentilissima Cristina scrocco anche un paio di cd: quello dei "Sogni in corso" (in cui ha cantato lei, anche se tenta di minimizzare la sua parte) e quello della Vittori.
Aspetto, come sempre, il momento giusto per ascoltare la Volpina in studio: è un jazz-pop raffinato di gran classe, sicuramente non nuovo alle orecchie ma arrangiato, suonato e, naturalmente, cantato ottimamente. La voce della Vittori è molto misurata rispetto all'esibizione dal vivo, ma conqusta e i anche musicisti dimostrano tutto il loro valore (a dispetto della resa dal vivo -ma continuo a pensare ad un difetto di acustica del luogo-).
Ho letto un paio di critiche relative alla scelta di cantare in inglese e al genere di musica definita "filodiffusione di qualità". Non mi spaccio per critico musicale in quanto non lo sono per preparazione e non voglio neppure sembrarlo "per finta": sono solo un ascoltatore emozionale e penso che la Vittori abbia particolarmente tenuto a rappresentare dei pezzi che le sono congeniali, dei pezzi che sente dentro (e dal vivo questo slancio si nota particolarmente) con un taglio musicale tanto poco italiano che cantarci in italiano "stonerebbe".
Insomma, se siete incuriositi, l'album si intitola "Border Life" ed è a nome di Betty Vittori & The Secret Flame. Ho, alla fine, un solo rammarico: un paio di pezzi in più ci sarebbero stati.
Ah! E, se vi capita, andate a sentirla dal vivo... ;)
Oggi mi sentivo tra il melenso e il malsano quindi, considerato che qualcuno (la Paloma!) ci ha rinfacciato di essere troppo seri nei nostri argomenti, coglierei l'occasione di parlare di canzoni d'amore.
Naturalmente ne parlerò a modo mio cioè non ne parlerò direttamente ma attraverso un percorso musicale.
Partiamo dal melenso, dalla new age, dalle dita di una pianista di genere, Suzanne Ciani, che percorre sulla tastiera la velocità dell'amore ("The Velocity of Love", 1984) vista da dietro il parabrezza di un'auto in una giornata di pioggia:
Tutto bene? State ancora sognando? Allora è il momento di usare le tinte fosche lynchiane e lasciare che un po' di inquietudine aleggi a contrasto del canto sognante di Julee Cruise in "Falling" (1988), pezzo meglio noto per essere stato presente nella colonna sonora di "Twin Peaks":
Qualche piccolo brivido si fa strada? Forse è arrivato il momento di vivere una storia d'amore intensa, tanto intensa quanto malsana e tanto malsana quanto può esserlo quel diavolaccio di Nick Cave che "seduce" quella rosa selvatica di Kyle Minogue ("Where the Wild Roses Grow", 1995):
A volte mi sento un po' così, tra il melenso e il malsano, e non capisco, proprio non capisco perché tu stia scappando via (Pink Floyd: "Don't Leave Me Now / Another Brick in the Wall pt.3", 1979):
All in all it was all just bricks in the wall...
Per chiudere una citazione che -forse- non c'entra un cazzo con tutto il resto del discorso ma, scusatemi, mi sono lasciato prendere dai Pink Floyd (come succede sempre) e, mentre guardavo il video, ero in piedi a cantare l'ultima parte insieme a Waters.
Chi la conosce dagli inizi sa che lei è la donna del rock indipendente, alternativo e d’avanguardia, prima con “Tregua” (1997) e poi con “Nido” (1999) e l’EP “Goccia” (2000). Quasi non sembra un prodotto italiano tanto suona diverso da quanto si sente di solito. Sicuramente anche le frequentazioni di personaggi come Wyatt, Harper e Byrne contribuiscono a questa immagine da “avanguardia internazionale”.
La amo.
Un passo avanti e uno di lato.
“Dove sei tu” (2003) la vede meno diamante grezzo e più matura, meno estrema e più abbordabile e l’edizione inglese dell’album (intotitolata semplicemente “Cristina Donà”, 2004) la rende ancora più internazionale, come pure le sue frequentazioni (Davey Ray Moor, Eric Wood, Ani di Franco) contribuiscono all’idea di avere finalmente qualcosa di “esportabile” e al passo con i tempi là fuori.
La amo.
Un passo avanti e due di lato.
Nel 2007 esce “La quinta stagione”, album pubblicato da un editore mainstream. L’album stesso è mainstream. Lo ascolto qualche volta ma non mi entra.
La amavo.
Un salto in alto.
Nel 2008 mi sforna un album acustico, “Piccola faccia”. Un po’ deluso dal precedente, rimando gli ascolti per un po’ finché una sera me lo ascolto in tutta tranquillità. E ancora. E ancora.
L’album rimane costantemente a portata di mano e mi convince a riascoltare il precedente.
La amo!
Un passo avanti e uno di lato.
Nel 2010 il singolo “Miracoli” preannuncia l’uscita di “Torno a casa a piedi” (gennaio 2011). Lo ascolto e gli arrangiamenti orchestrali mi lasciano perplesso. E’ ancora più mainstream del precedente album ma sospendo il giudizio.
A gennaio è alla Feltrinelli a Milano a presentare l’album. Naturalmente ci vado e mi godo qualche pezzo in acustico.
Stavolta ho fregato Cristina: mi sono sentito le versioni acustiche e, dopo averlo lasciato sedimentare una settimana di fianco al pc, mi sono ascoltato due volte l’album.
E poi ancora. E ancora.
La amo.
Ah, non ho parlato della musica e dei testi.
Mi riesce difficile (sono di parte, evidentemente): è meglio che ve lo ascoltiate direttamente. ;)
Sicuramente "quancuno" non gradirà questa intrusione lounge in questa galleria psichedelica, ma come ben sapete mi piace andare un poì fuori tema e fare la parte della voce fuori dal coro (in realtà non posso competere con la vasta conoscenza di Fabio e Bretella.... e così mi arrangio come posso...)
Vi propongo i CANTOMA.
Genere lounge downtempo con vaghe venature latine.
Uniscono acustico ed elettronico in loop di "crescendo" dalle tonalità minori.
Li trovo molto adatti per momenti rilassanti ed eventualmente come sottofondo per piacevoli h-h.
Di seguito un paio di brani. Approfondimenti disponibili su Wikipedia, LastFM.
Sicuramente il cugi li conosce, ma non è detto... In ogni caso riporto la recensione di Stefano Pifferi che mi è tanto piaciuta. Per quanto mi riguarda "Does it look like I'm here" degli Emeralds è un'album di notevole fattura. Forse più adatto per viaggi interiori che per ascolto tra mura domestiche. Da analizzare assolutamente con impianto adeguato e, per i più "audaci", con la comagnia di santaMariaverginebenedetta :) Aspetto vostri commenti.
"Il problema con gli Emeralds è sempre lo stesso: come prenderli. Come una appendice stramba del nuovo noise americano o come un malato esempio di rielaborazione di ipotetiche trasversali kosmische/new age? Quale che sia la risposta a questo lecito dubbio di posizionamento e/o prospettiva, resta la certezza che le definizioni potrebbero andare bene entrambe così come nessuna delle due. Gli Emeralds sono una band coi controcoglioni e lo dimostrano ad ogni uscita, ufficiale o meno che sia.
Nello specifico, Does It Look Like I’m Here? rappresenta per forza di cose un passo avanti per il trio. L’etichetta, innanzitutto, è la prestigiosa Editions Mego, segno che Mark McGuire, John Elliott e Steve Hauschildt (chitarre e chincaglieria analogica varia) sono ormai ufficialmente emersi dalla melma post-noise dell’underground americano. La musica poi viene di conseguenza: appare più screziata, meno incline agli stordimenti noise dei primi passi, sempre dilatabile verso lande kosmische sinthetiche e tappetini di suoni new age, seppur corposi e sfatti, con una certa predilezione per quest’ultima deriva. A stupire però è il procedere eccentrico dei tre di Cleveland. Eccentrico nella macrostruttura dell’album tanto quanto nelle microstrutture di ogni singolo pezzo, capaci, cioè, di partire da un centro e svilupparsi centrifugamente verso ogni reale direzione possibile.
Se ne parlerà a lungo e a lungo si discuterà sull’effettivo valore di questo album, così come della svolta “educata” degli Emeralds. I giudizi saranno discordi ma non ci si potrà esimere da una grossa verità: nel revival dell'analogico, questo è uno dei gruppi più importanti di questo scorcio di terzo millennio."
Una proposta come sempre un po' fuori dal coro scompensato...
Ma altrimenti... che scompenso sarebbe? :-)
Vi propongo questo album italianissimo, nonostante le assonanze siano assolutamente "international".
Best of Modernists è prima di tutto un progetto nato dalla collaborazione di Riccardo Moffa e Marco Cimino due jazzisti torinesi (Riccardo è un mio carissimo amico di infanzia con cui abbiamo condiviso le prime note insieme... che nostalgia)...
Seconda metà degli anni '70: è ufficiale il rock è morto (ma per quanto tempo dovrò ricorsivamente sentire questa cazzata?), è stato ucciso dal punk.
E poi? E poi arriva la new wave, più contaminata di ogni altro genere precedente: sorge dal punk, il grande assassino del rock, dalla disco, dall'avanguardia e dal rock e i generi si confondono, sfumano.
E poi nel '78 compare questo disco, "Outlandos d'amour", di questi tre tizi, i Police: non mi piace molto, sono ancora legato al prog e alla psichedelia, però suona diverso dal resto...
Destano molta attenzione, però il vero centro lo fanno l'anno successivo. E Reggatta de blanc, cazzarola, piace pure a me (sempre legato al vecchio rock) e pure tanto...
Non è facile dare seguito a un capolavoro (un po' la situazione di "In the Wake of Poseidon" dei King Crimson dopo "In the Court of the Crimson King", tanto per azzardare un parallelo): infatti Zenyatta Mondatta del 1980 appare quasi essere un disco minore ma prosegue e affina lo spirito dei due album precedenti (e, secondo me, e' pure molto più interessante dell'album di esordio).
E' del 1981 la decisa svolta di Ghost in the Machine, album più cupo e sintetico (nel senso dell'uso del synth e della maggior sintesi tra le varie personalita' del gruppo). Secondo me si tratta della strada che avrebbero potuto/dovuto esplorare in seguito.
Ma...
Qualcosa si è rotto, l'armonia tra Copeland e Sting, ad esempio. E allora nel 1983 esce Synchronicity, il disco omega dei Police e il disco alfa di Sting, personalità ormai troppo ingombrante (e oggi ingombrante perfino per se' stesso). In pratica due mezzi dischi diversi ma, nonostante tutto, un bell'epitaffio per un gruppo che non è stato uguale a niente che sia venuto prima.
E non ci sono reunion che tengano: vanno ascoltati gli originali per goderseli veramente.
Segnalo questo "Sleepwalkers", nuovo disco di David Sylvian. O meglio, una raccolta di alcuni brani in cui ha collaborato e/o prestato la sua incredibile voce. Dopo lo "stranissimo" "Manaphon "di cui, personalmente, salvo solo alcune cose, questa volta il nostro ha tirato fuori la sua vera essenza di post romantico.
Album fruibile e godibile senza essere esageratamente autocelebrativo nè saccente. Sylvian si canta addosso e si ascolta (almeno, questa è l'impressione anche del nuovo singolo "Five Lines") e si lascia ascoltare portandoci negli anfratti del suo immaginifico mondo interiore. Un mondo che vive di immagini rarefatte ed atmosfere impalpabili.
Sono in uscita un po' di cosine, in qualche modo rassicuranti (almeno per me), a partire da "Collapse Into Now" dei R.E.M. (l'ultimo "Accelerate" e i due live pubblicati ci hanno riconsegnato le, appunto, rassicuranti sonorità dei vecchi R.E.M.).
Qui il trailer dell'album:
Rassicurante per me è anche il ritorno di Cristina Donà che sarà a presentare il nuovo album "Torno a casa a piedi" alla Feltrinelli della stazione Centrale di Milano martedì 25 gennaio alle 18.30, dove regalerà qualche pezzo in acustico. Nel frattempo ci fa ascoltare il primo singolo, "Miracoli":
Anche l'ultimo album di Joan as Police Woman, "The Deep Field", è in imminente uscita. A giudicare dal primo singolo, "The Magic" non si è lasciata sedurre dal lato più morbido ed elegante ma ha conservato la sua "indietudine":
Queste sono le uscite più o meno imminenti (per i R.E.M. tocca aspettare marzo), altre eventuali uscite interessanti in un successivo post...
Una proposta decisamente jazz proveniente da un gruppo notoriamente electro-lounge.
Dzihan & Kamien sono normalmente più elettronici; in questo brano però esprimono comunque qualcosa di bello. Direi molto indicato come sottofondo per una serata.
Avete presente quando vi si pianta nel cervello una musichetta? Di solito capita al mattino, appena svegliati, e rimane li' tutto il giorno, qualsiasi cosa facciate o non facciate...
rollin' rollin' rollin'...
La tragedia è che, solitamente, è un jingle idiota (li fanno appositamente così, per piantarsi nelle nostre teste vuote) o un tormentone che non sopportate proprio...
rollin' rollin' rollin'...
Come potete vedere, ho numerato questo post, spero sia il primo di una serie e che anche gli altri scompensati partecipino a questo giochino demente...
rollin' rollin' rollin'...
Ecco, ad esempio, stamattina mi è capitata 'sta cosa (argomento ideale per farci un post scompensato) ma per stavolta mi/vi è andata di lusso. La prossima volta sarà davvero una musichetta insopportabile e sarà mia cura rendervi tutti partecipi. :P
Per iniziare bene il 2011 vi segnalo questo pianista che seguo da qualche tempo. Trattasi di Vassilis Tsabropoulos. Fa parte di quelli che definisco "musicisti di anima". Tecnica concreta, scuola classica, jazz nelle vene e anima evocativa. Si sente tanto la scuola Jarret e le tonnellate di improvvisazione alle spalle, ma nel complesso lo trovo assolutamente gustoso ed emozionante. Ah, ovviamente è stato preso dalla ECM dal 2000.
Non ho esattamente idea di dove stiamo andando o in cosa ci stiamo trasformando ma l'impressione non è affatto buona.
E` come se si volesse vivere bendati e con tappi di cera nelle orecchie.
E` come se si continuasse a blaterare di cose inutili, meccanicamente, come per evitare di dover pensare.
E` come se ci si volesse rinchiudere in una stanza imbottita.
E` come se se la nostra visione del mondo sia diventata incompatibile con la visione di altri.
E` come se l'altro, l'extracomunitario, il dissidente, il diverso fossero una malattia da combattere, un contagio da evitare, un'infezione.
Ma la vera infezione è questa pochezza mentale che sta consumando tutto, l'aria, l'acqua, la terra, l'intelligenza, i diritti e la dignità.
Buon "diverso" 2011.
Micol Martinez: "Testamento biologico"
(da "Copenaghen", 2010)
io qui assente nel meno delle mie facoltà fisiche e mentali
rilascio il mio testamento a passata memoria
ora che non ho niente da dire ora che non ho niente da fare
ora che aprite i miei occhi sui vostri che non posso vedere
se la mia bocca non muove più né parole né baci
e la sola voce che sento è dall'alto ed è lì che vorrei andare
ma il mio vestito è troppo largo è impigliato in un libro letto male
scriverò guardando in alto quel che voi non potete sentire
che sia fatto di tutto perché sia la mia bocca ad assaggiare amore e miele
per essere alla vostra altezza e da quell'altezza non cadere
perché sia solo la mia voce a dirvi che sto bene
che sia fatto di tutto finché non abbia bisogno di niente
nemmeno di stare qui
se voi lo chiamate dormire
allo scopo di salvaguardare la dignità della mia persona
se è la sola cosa che rimane
chiedo il pieno rispetto di lasciarmi andare